Tessile: con Trump, la strada verso il Ttip diventa in salita

Se Hillary Clinton aveva mostrato dubbi sul Ttip (il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra Usa e Ue), Donald Trump ha fatto del protezionismo commerciale uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale che, combattuta all’insegna dello slogan “America first”, ha intercettato gli umori dell’America profonda portandolo alla Casa Bianca. La sorte del Ttip, già peraltro appesa ad un filo sottile, con il nuovo presidente potrebbe essere ora definitivamente segnata. Perchè, con Trump presidente, o i tempi per riattivare il negoziato potrebbero slittare sine die, oppure egli potrebbe annunciare subito il ritiro degli Usa dai negoziati ponendo così un pietra tombale sul Ttip senza nemmeno sedersi al tavolo delle trattative. In ogni caso, l’ipotesi di raggiungere un accordo diventa piuttosto remota. I negoziati sul Ttip erano iniziati nel 2013 per volontà della presidenza Obama e della Commissione europea. Il trattato (auspicato soprattutto dalla finanza, dalla grande impresa e dal manifatturiero più export oriented verso gli States, ma temuto invece dalle manifatture europee più piccole e più polarizzate sulla domanda interna) si poneva l’obiettivo di eliminare ogni ostacolo, ogni barriera normativa o burocratica agli scambi commerciali tra l’Ue e gli Usa per favorire investimenti e commercio reciproco. I negoziati, però, non sono mai veramente progrediti perché le reciproche posizioni su questioni delicate come la salute legata ai prodotti alimentari, l’ambiente, gli appalti pubblici e le dispute internazionali, sono risultate difficilmente mediabili. L’estate scorsa, il ministro dell’Economia tedesco, Sigmar Gabriel, in un’intervista alla rete tedesca Zdf, dichiarò addirittura che «i negoziati con gli Stati Uniti sono effettivamente falliti perché come europei non possiamo accettare supinamente le richieste americane», sottolineando inoltre come «non ci sarà più alcun passo avanti, anche se nessuno lo vuole ammettere veramente». La presa di posizione di Gabriel aveva determinato una reazione formale di Usa e Ue che, nell’occasione, ribadirono l’importanza del trattato e la volontà di proseguire nei negoziati: peraltro, lo scenario di un Donald Trump saldamente insediato alla Casa Bianca appariva allora quasi fantapolitica. Invece l’America, la settimana scorsa, ha incredibilmente scelto proprio il tycoon ridicolizzato dai radical chic del pianeta e il protezionismo compendiato nello slogan “American first” sembra oggi mettere un sigillo tombale alle aspirazioni di pervenire alla conclusione del Ttip. «Le implicazioni della vittoria di Donald Trump potranno essere valutate solo nel medio periodo, quando sarà più chiaro quali delle promesse elettorali fatte in campagna riuscirà ad implementare e in che tempi - dice il presidente di Smi, Claudio Marenzi -. Oggi, gli Stati Uniti, nonostante la presenza di già forti dazi all’importazione, rappresentano una delle maggiori aree di export per i nostri prodotti. Ci aspettiamo che, nel futuro, l’annunciata politica protezionistica non si trasformi in una politica commerciale isolazionista; questa potrebbe generare una ulteriore instabilità negli scambi commerciali mondiali, anche a causa di possibili guerre commerciali e valutarie». L’auspicio è fatto proprio anche dal presidente degli industriali biellesi, Carlo Piacenza, che sottolinea, però, come l’eventuale mancato accordo sul Ttip se, da un lato, non garantirebbe purtroppo il vantaggio sperato al made in Italy con vocazione esportativa, dall’altro lato, non toglierebbe contemporaneamente nulla. «Ho l’impressione - dice Carlo Piacenza - che il protezionismo di Trump si indirizzerà maggiormente verso la Cina e verso quel Far East dove, peraltro, è stata consistente, negli anni, la delocalizzazione della manifattura americana. Non colgo, almeno in questa fase, un disegno di specifiche politiche protezionistiche nei confronti di un made in Italy che, sul mercato americano, rappresenta in certi settori una nicchia qualitativa con identità e appeal forti. Piuttosto, il riassetto degli equilibri geopolitici cui Trump pare voler mettere mano potrebbero indirettamente, su altri fronti, determinare per i nostri prodotti un vantaggio: penso, segnatamente, al rapporto con la Russia. Qui, il venir finalmente meno delle sanzioni riaprirebbe uno sbocco per il nostro manifatturiero». Sulla partita interviene anche l’imprenditore biellese Luciano Barbera il cui marchio ha una lunga e consolidata presenza sul mercato statunitense. «Vedremo che cosa farà Trump - dice Barbera -: l’auspicio è che nel momento in cui l’America sceglie di valorizzare meglio il suo made in Usa, anche noi cominciamo a mettere regole alla globalizzazione selvaggia che ha determinato la crisi del nostro manifatturiero. Sul Ttip, poi, credo che un ripensamento in tempo sia meglio di un accordo che ci avrebbe comunque visti succubi di regole e diktat tagliate su misura solo per i grandi».
Giovanni Orso
Se Hillary Clinton aveva mostrato dubbi sul Ttip (il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra Usa e Ue), Donald Trump ha fatto del protezionismo commerciale uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale che, combattuta all’insegna dello slogan “America first”, ha intercettato gli umori dell’America profonda portandolo alla Casa Bianca. La sorte del Ttip, già peraltro appesa ad un filo sottile, con il nuovo presidente potrebbe essere ora definitivamente segnata. Perchè, con Trump presidente, o i tempi per riattivare il negoziato potrebbero slittare sine die, oppure egli potrebbe annunciare subito il ritiro degli Usa dai negoziati ponendo così un pietra tombale sul Ttip senza nemmeno sedersi al tavolo delle trattative. In ogni caso, l’ipotesi di raggiungere un accordo diventa piuttosto remota. I negoziati sul Ttip erano iniziati nel 2013 per volontà della presidenza Obama e della Commissione europea. Il trattato (auspicato soprattutto dalla finanza, dalla grande impresa e dal manifatturiero più export oriented verso gli States, ma temuto invece dalle manifatture europee più piccole e più polarizzate sulla domanda interna) si poneva l’obiettivo di eliminare ogni ostacolo, ogni barriera normativa o burocratica agli scambi commerciali tra l’Ue e gli Usa per favorire investimenti e commercio reciproco. I negoziati, però, non sono mai veramente progrediti perché le reciproche posizioni su questioni delicate come la salute legata ai prodotti alimentari, l’ambiente, gli appalti pubblici e le dispute internazionali, sono risultate difficilmente mediabili. L’estate scorsa, il ministro dell’Economia tedesco, Sigmar Gabriel, in un’intervista alla rete tedesca Zdf, dichiarò addirittura che «i negoziati con gli Stati Uniti sono effettivamente falliti perché come europei non possiamo accettare supinamente le richieste americane», sottolineando inoltre come «non ci sarà più alcun passo avanti, anche se nessuno lo vuole ammettere veramente». La presa di posizione di Gabriel aveva determinato una reazione formale di Usa e Ue che, nell’occasione, ribadirono l’importanza del trattato e la volontà di proseguire nei negoziati: peraltro, lo scenario di un Donald Trump saldamente insediato alla Casa Bianca appariva allora quasi fantapolitica. Invece l’America, la settimana scorsa, ha incredibilmente scelto proprio il tycoon ridicolizzato dai radical chic del pianeta e il protezionismo compendiato nello slogan “American first” sembra oggi mettere un sigillo tombale alle aspirazioni di pervenire alla conclusione del Ttip. «Le implicazioni della vittoria di Donald Trump potranno essere valutate solo nel medio periodo, quando sarà più chiaro quali delle promesse elettorali fatte in campagna riuscirà ad implementare e in che tempi - dice il presidente di Smi, Claudio Marenzi -. Oggi, gli Stati Uniti, nonostante la presenza di già forti dazi all’importazione, rappresentano una delle maggiori aree di export per i nostri prodotti. Ci aspettiamo che, nel futuro, l’annunciata politica protezionistica non si trasformi in una politica commerciale isolazionista; questa potrebbe generare una ulteriore instabilità negli scambi commerciali mondiali, anche a causa di possibili guerre commerciali e valutarie». L’auspicio è fatto proprio anche dal presidente degli industriali biellesi, Carlo Piacenza, che sottolinea, però, come l’eventuale mancato accordo sul Ttip se, da un lato, non garantirebbe purtroppo il vantaggio sperato al made in Italy con vocazione esportativa, dall’altro lato, non toglierebbe contemporaneamente nulla. «Ho l’impressione - dice Carlo Piacenza - che il protezionismo di Trump si indirizzerà maggiormente verso la Cina e verso quel Far East dove, peraltro, è stata consistente, negli anni, la delocalizzazione della manifattura americana. Non colgo, almeno in questa fase, un disegno di specifiche politiche protezionistiche nei confronti di un made in Italy che, sul mercato americano, rappresenta in certi settori una nicchia qualitativa con identità e appeal forti. Piuttosto, il riassetto degli equilibri geopolitici cui Trump pare voler mettere mano potrebbero indirettamente, su altri fronti, determinare per i nostri prodotti un vantaggio: penso, segnatamente, al rapporto con la Russia. Qui, il venir finalmente meno delle sanzioni riaprirebbe uno sbocco per il nostro manifatturiero». Sulla partita interviene anche l’imprenditore biellese Luciano Barbera il cui marchio ha una lunga e consolidata presenza sul mercato statunitense. «Vedremo che cosa farà Trump - dice Barbera -: l’auspicio è che nel momento in cui l’America sceglie di valorizzare meglio il suo made in Usa, anche noi cominciamo a mettere regole alla globalizzazione selvaggia che ha determinato la crisi del nostro manifatturiero. Sul Ttip, poi, credo che un ripensamento in tempo sia meglio di un accordo che ci avrebbe comunque visti succubi di regole e diktat tagliate su misura solo per i grandi».
Giovanni Orso